Dalle luci notturne del porto di Veracruz, da un bar sulla Sierra di Oaxaca incredibilmente pieno di bottiglie di Campari, dalla comunità di Juchitán, sulla costa pacifica meridionale del Messico, dove gli Zapotechi mantengono da 2000 anni forme sociali, soprattutto nel rapporto donna-uomo, che noi nemmeno riusciamo a immaginare.
Romanzi latinoamericani, ovviamente, poi narrativa o divulgazione sulle nuove scienze, dalla fisica quantistica all’intelligenza artificiale, poi qualche classico italiano, poi qualche testo storico legato a idee che ho in testa per i prossimi romanzi, qualche libro di amici, un po’di quotidiani…
Non so: venti, trenta, dipende.
Con il compianto Eusebio Leal, mitico historiador dell’Avana, la cui casa editrice ha recentemente pubblicato la traduzione del mio Rosso Avana che ho presentato in Plaza de Armas durante la Feria del Libro di febbraio e per il quale stiamo ragionando su un film ostacolato solo dall’osceno e sessantennale blocco USA contro l’isola.
Con Garzanti quando il direttore editoriale era Oliviero Pontedipino.
Con le Guide Clup di cui sono stato coideatore e direttore per trent’anni.
Con l’Ambasciata Italiana a Cuba che mi ha proposto come membro italiano nella giuria del Premio Calvino 2023 (un’edizione particolarmente significativa perché corrisponde al centenario della nascita).
E adesso mi aspetto molto da Un Campari a Veracruz per il quale stiamo parlando, anche in questo caso, di un film.
Evidentemente sì tuttavia c’è uno zoccolo duro, che qualche studio individua in circa 4 milioni di lettori che legge molto, più di un libro al mese. E alla fine questo è il nostro pubblico, un parterre di lettori colti, critici, che pretendono molto. Quantomeno tra loro i vari polizieschi e generi allegati hanno vita meno facile che sul resto della popolazione.
Sempre parlando di romanzi ed escludendo i generi, c’è un grande vantaggio: cioè che, a parte pochi eletti, con la letteratura non si vive (economicamente intendo) quindi, almeno all’inizio, si scrive per trovare un editore e vedere il proprio libro sugli scaffali delle librerie. All’inizio non “si fa lo scrittore”. Il seguito si vede lungo il cammino. Come diceva una vecchia canzone: uno su mille ce la fa. Gli altri continuano a scrivere perché scrivere romanzi è un gioco meraviglioso.
Non vedo l’ora di finire il lavoro di promozione di Un Campari a Veracruz per infilare la testa in un’altra storia. Ne ho già quasi pronte un paio, accompagnate da qualche idea affacciata su altre terrazze. Tutto chiuso in un paio di faldoni, in una cartella del computer e nella mia testa. Comunque, salvo imprevisti, sempre possibili peraltro, non sarà il quarto sudamericano.